Riportiamo di seguito, dal sito del Senato, una nota del Prof. Carlo Rimini dell'Università Statale di Milano al DDL 735, disponibile all'indirizzo
Come evidenziato più volte, i modelli di calcolo che proponiamo su questo blog sono, per esigenze di semplicità e facilità di lettura, volutamente rozzi e semplicistici, mentre sono diffusamente disponibili modelli più evoluti, come il modello Mocam e il modello ReMida. Le osservazioni del Prof. Rimini, che riportiamo senza necessariamente condividerle integralmente, fanno parte dei contributi scientifici più evoluti alla materia del calcolo degli assegni di mantenimento e confermano la "sciatteria" (citiamo testualmente) delle prassi giudiziarie italiane nella determinazione degli assegni di mantenimento.
Indipendentemente dal fatto che sia in concreto attuabile un affidamento paritetico dei figli, l’abolizione dell’istituto dell’assegno di mantenimento per i figli (come prevede il ddl n. 735) – e la possibilità di prevederlo solo come ipotesi residuale solo per un tempo determinato – è una scelta errata che il legislatore non dovrebbe percorrere. Fra l’altro, l’istituto dell’assegno di mantenimento dei figli è previsto nella maggior parte delle legislazioni occidentali. L’eliminazione dell’assegno (o la sua sopravvivenza solo a tempo determinato) lascerebbe nell’impossibilità di far fronte alle più elementari esigenze di vita molti ex coniugi economicamente deboli, che tali spesso sono proprio perché durante la vita matrimoniale si sono occupati prevalentemente della crescita dei figli sacrificando le prospettive di lavoro all’esterno delle mura domestiche. Chi ritenesse superfluo l’assegno di mantenimento dei figli laddove si imponga che i figli stiano con ciascuno dei genitori per tempi paritetici, dovrebbe considerare che il costo per il mantenimento di un figlio convivente dipende solo in parte dal tempo che il figlio trascorre con ciascun genitore. Inoltre la misura del contributo di ciascun genitore al mantenimento dei figli è determinato sulla base del rapporto fra le rispettive sostanze. Quindi anche assumendo che il figlio resti con ciascuno dei genitori per tempi uguali, ciò non implica affatto l’insussistenza della necessità di un assegno periodico. Il tema è peraltro strettamente connesso con quello relativo all’assegnazione della casa familiare e ciò in quanto, nell’economia di una famiglia, soprattutto nelle grandi città, gli oneri per la disponibilità della casa di abitazione sono assai rilevanti rispetto al totale delle spese ordinarie di mantenimento. Pertanto, nei casi in cui non vi è un provvedimento di assegnazione ad un genitore della casa familiare di proprietà dell’altro, gli oneri di mantenimento che il genitore convivente sostiene per il fatto di avere un figlio con sé dipendono in piccola parte dai tempi di permanenza del figlio con lui (o con lei): comunque egli (o ella) sosterrà il costo di un immobile con una superficie sufficiente per essere destinato accasa del figlio, dovrà pagare le spese condominiali e le utenze domestiche tali oneri non dipendono dal numero di giorni al mese che il figlio trascorre con il genitore. L’abolizione dell’istituto dell’assegno di mantenimento per il figlio convivente non è dunque una misura ipotizzabile e introdurrebbe una inaccettabile iniquità nel nostro diritto di famiglia, indipendentemente dal fatto che siano previsti nel caso concreto tempi paritetici di frequentazione. Non si può tuttavia non rilevare che il ddl n. 735 è espressione, in relazione a questo aspetto, di un disagio piuttosto diffuso da parte dei genitori chiamati a versare l’assegno di mantenimento e quindi da parte dei genitori “non collocatari” (frequentemente i padri). Tale disagio non è del tutto immotivato ed è conseguenza del fatto che nella prassi dei nostri tribunali accade frequentemente che l’assegno di mantenimento sia determinato in concreto in misura superiore al costo marginale per le spese ordinarie di mantenimento del singolo figlio convivente. Innanzitutto è necessario chiarire perché è bene parlare di “costo marginale del singolo figlio” e non di assegno per il mantenimento di ciascuno dei figli: è questa una distinzione che sfugge costantemente nella prassi italiana. Semplicemente mantenere due figli per le spese ordinarie costa meno del doppio che mantenere un solo figlio: le spese di casa per il secondo figlio non aumentano o aumentano in modo poco significativo; le spese per l’autovettura (utilizzata anche per le esigenze dei figli) non aumentano; le spese per le vacanze aumentano ma non si raddoppiano, e così via. Quindi il “costo marginale” (cioè il costo aggiuntivo per ogni figlio in più che i genitori hanno) è molto inferiore al costo medio calcolato per tutti i figli della coppia e la differenza fra costo medio e costo marginale è tanto maggiore quanto maggiore è il numero dei figli della coppia. Questa banale considerazione è totalmente sconosciuta nella prassi che si limita a determinare l’assegno complessivo e a dividerlo per ciascuno dei figli. Nella prassi dei nostri tribunali l’assegno di mantenimento per i figli viene determinato non facendo riferimento al costo marginale per l’ordinario mantenimento dei singolo figlio convivente ma individuando la somma necessaria al nucleo costituito dal genitore convivente e dai figli che vivono con lui (o con lei) per mantenere un tenore di vita tendenzialmente paragonabile a quello matrimoniale, salvo verificare se i redditi della parte obbligata consentono di essere gravati datale somma; se la risposta è negativa, la somma viene ridotta sino a consentire alla parte obbligata di sopravvivere. Talvolta si ha addirittura la sensazione che l’assegno sia determinato sulla base di una motivazione non scritta che consiste nel fare riferimento, con inaccettabile sciatteria, ad una predeterminata percentuale dei redditi della parte obbligata. Ciò significa che l’intera ridistribuzione dei redditi fra coniugi separati o divorziati nella maggior parte dei giudizi di separazione o divorzio che si discutono nei nostri tribunali passa attraverso l’assegno di mantenimento dei figli. Questo tema inevitabilmente si intreccia con la discussione relativa ai presupposti e ai criteri di determinazione dell’assegno per il mantenimento del coniuge e dell’assegno divorzile e quindi travalica i limiti dell’esame dei disegni di legge in discussione. Rimane il fatto che coglie nel segno chi afferma che in molti casi gli assegni per il mantenimento dei figli e di ciascuno di essi, così come determinati nei nostri tribunali, sono superiori a quanto necessario per coprire i costi che il genitore convivente sopporta per il fatto di avere ciascun figlio con sé. Il problema sopra evidenziato attiene alla prassi consolidata nei nostri tribunali e non alla formulazione dell’art. 337 ter c.c. e dell’art. 6 della legge n. 898/70. Non è quindi su queste norme che il legislatore deve intervenire. Piuttosto osserviamo che in ordinamenti che ci sono vicini la discrezionalità del giudice è limitata dall’esistenza di sistemi di calcolo dell’assegno di mantenimento basati proprio sul costo marginale del singolo figlio convivente: il giudice si discosta dal risultato prodotto dai sistemi di calcolo solo in casi eccezionali. Mi riferisco alla Düsseldorf Tabelle in Germania o al Child Maintenance Calculator nel Regno Unito. Quest’ultimo in particolare è un calcolatore elettronico elaborato dal Governo e liberamente fruibile al sito https://www.gov.uk/calculate-your-child-maintenance.Il legislatore italiano potrebbe pensare ad istituire un sistema simile. Il calcolatore potrebbe essere realizzato a cura del Ministero della Giustizia avvalendosi della consulenza di esperti in grado di determinare in astratto quali costi sostiene un genitore per il fatto di avere un figlio con sé e quali di questi costi devono essere posti in capo all’altro genitore in considerazione dei redditi di entrambi e in considerazione del valore economico dell’assegnazione della casa familiare. Il legislatore potrebbe eventualmente prevedere che il giudice debba determinare l’assegno nella misura indicata dal calcolatore a meno che non ritenga di discostarsi dal risultato avendo in questo caso l’onere di motivare la decisione.
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